Un giorno qualsiasi, il 28 agosto. Un giorno come un altro, in fondo è solo il 240° del calendario. Però c’è qualcosa di diverso nella storia di questo giorno. E no, la stranezza non è rappresentata dal fatto che negli anni bisestili, come è questo 2012, sia il 241° dall’inizio dell’anno. Il motivo è ben più triste.
Non c’entra Maurizio Fondriest, che il 28 agosto del 1988 vince il Campionato del Mondo di Ciclismo a Renaix, in Belgio. Un evento lieto per lo sport azzurro, non triste come abbiamo preannunciato. Che cosa? La morte di Sant’Agostino nel lontano 430 d.c.? Il divorzio di Carlo e Diana nel più vicino 1996? No, qualcosa di più vicino a noi e legato, a doppia mandata, al mondo dello sport.
Erano le 14 e 32 del 28 agosto del 2007, esattamente cinque anni fa, quando un giovane uomo saluta troppo presto il mondo nell’ospedale Virgen del Rocìo di Siviglia, nel caldo sud della Spagna. Tre giorni prima, durante una normale azione di gioco del match tra il Getafe e il suo Siviglia, di cui è orgoglioso capitano a nemmeno 23 anni di età, Antonio Puerta perde conoscenza. Un arresto cardiaco colpisce questo esterno sinistro dal piede fino e dal cuore grande. Con l’aiuto di compagni e medici sembra riprendersi, raggiunge gli spogliatoi e il pubblico si tranquillizza. Lasciato il campo, il suo campo, altri arresti cardiaci lo colpiscono senza pietà. Il ricovero in ospedale non basta e dopo 65 ore di sofferenza Antonio saluta e se ne va, senza veder nascere il suo primo figlio, che vedrà la luce quaranta giorni più tardi.
Uno dei pochi, eppure tanti, troppi morti di uno sport innocente e popolare come il calcio. Siti e quotidiani spagnoli ricordano oggi, a cinque anni dalla sua scomparsa, la figura di Puerta. Non solo giornali sportivi come El Mundo Deportivo o Marca celebrano il “lustro” di distanza dalla morte del calciatore spagnolo. Perfino un “noticiario” generalista come Abc.es ci tiene a non dimenticare.
Come invece è facile dimenticare i molti giovani calciatori che hanno perso la vita su un rettangolo di gioco, correndo dietro a una palla come fanno i bambini di tutto il mondo. E come successo, con violenza e sfortuna incredibile, a un ragazzo di nome Sergio: all’anagrafe Serhiy Perkhun. Il nostro buon Sergio all’epoca dei fatti h più o meno la stessa età di Antonio, dovendo ancora compiere 24 anni. Portiere di belle speranze, nasce a Dnipropetrovsk, nel bel mezzo dell’Ucraina, a metà strada tra le grandi Kiev e Donetsk. Fino ai 21 anni gioca poco, restando nella squadra della sua città. Poi il passaggio allo Sheriff Tiraspol, la squadra più importante della Moldavia, dove vince un titolo nazionale, e nel 2001 l’approdo da titolare e protagonista della porta al Cska Mosca, tra le compagini più importanti della Russia. Puntuale ecco la convocazione e l’esordio nella nazionale gialloblù di Shevchenko. Insomma, un giovane portiere con la strada in discesa verso una carriera di successi e gloria. Poi, nella fredda estate moscovita, la fine.
Siamo al 18 agosto del 2001 quando il nostro Sergio, con indosso la maglia numero 16 del Cska, in un uscita aerea al limite della “sua” area di rigore si scontra con un avversario. Qualcosa di normale nel mondo del calcio, ma non quel giorno. Il giovane sbatte la testa violentemente contro quella di un attaccante russo dell’Anzhi, squadra allora semisconosciuta e oggi nota per la presenza di un altro attaccante, un certo Samuel Eto’o. I due perdono conoscenza e vengono ricoverati in tutta fretta in ospedale. Passano dieci giorni, la punta migliora mentre per il giovane Sergio il coma è letale. Ecco, fin qui due storie simili e nulla più.
Eppure la coincidenza è incredibile: non solo Sergio, o meglio Serhiy Perkhun, muore proprio il 28 agosto di 11 anni fa, esattamente sei anni prima di Antonio. Il 23enne lascia la moglie Yulia incinta di una bambina. Lascia una squadra che lo aveva adottato e che resta senza il proprio portiere. Il destino però è strano: l’attaccante dell’Anzhi, il “colpevole” della sua morte, torna presto in campo senza troppo successo. Si chiama Budun Budunov, pochi gol segnati in una carriera sfortunata. Oggi, a 36 anni, ha avuto però ben più fortuna fuori dal terreno di gioco: è presidente dell’Unione Calcistica del Daghestan, proprio la regione dove ha sede l’Anzhi. Lui ha avuto un futuro dopo quel 28 agosto, Antonio e Sergio no. Essendo all’inizio di una nuova stagione calcistica, auguriamo al mondo del pallone fortuna e attenzione, perché ci siano sempre meno 28 agosto da ricordare.