L’11 settembre e il ruolo (fondamentale) dello sport

Il capitano degli Yankees Derek Jeter al ritorno in campo dopo gli attentati con il cappello dei vigili del fuoco di New York

Ore 8.46 della costa est degli Stati Uniti dell’11 settembre 2001. Il volo American Airlines 11, partito dal Logan International Airport di Boston con direzione Los Angeles, si schianta contro la torre nord del World Trade Center di New York. È l’inizio dell’apocalisse, almeno in versione 21° secolo, per la Grande Mela, per gli Stati Uniti e per tutto il mondo. Alla fine degli eventi che tutti, ahinoi, ben conosciamo il bilancio parlerà di 2974 vittime. L’America, che fino a quel momento si sentiva invincibile e inattaccabile, cade in stato di shock.

Di un evento così tragico e conosciuto si sa ormai praticamente tutto. Quello che in molti non sanno, però, è il ruolo che lo sport ebbe nel risollevare lo spirito e l’orgoglio di una nazione colpita come mai avrebbe pensato. Il campionato NFL era già iniziato, come d’abitudine. Paul Tagliabue, all’epoca commissioner della National Football League, si trovò di fronte a una decisione colossale: far giocare o meno cinque giorni dopo una tragedia del genere? A meno di 48 ore dagli attentati la decisione venne ufficializzata anche con il pieno supporto dell’associazione dei giocatori: stop all’NFL, che riprenderà solamente il 23 settembre. Anni dopo Tagliabue spiegherà come nel prendere la decisione ripensò alle parole del suo predecessore Pete Rozelle, che all’epoca dell’attentato di JFK optò per la strada alternativa e fece scendere in campo i giocatori appena due giorni dopo l’attentato. Un errore, dirà poi Rozelle ripensandoci, tra i più grandi della sua vita.

Ma un ruolo molto più importante nell’opera di guarigione collettiva della nazione lo ebbe l’MLB, vale a dire il baseball, forse forte anche di essere il “national pastime”, il passatempo nazionale statunitense. Da aprile a ottobre gli Stati Uniti sono abituati a veder scorrere le loro giornate accompagnate da un fiume continuo di giocate sui diamanti MLB, ma l’11 settembre riuscì a spezzare questa consuetudine. Anche il baseball si fermò, in pieno “pennant race” – il periodo caldo della stagione che assegna i titoli divisionali e l’accesso alla post-season – per ben sette giorni.

Al suo ritorno, il 18 settembre, il baseball assunse un’importanza ancora più grande, diventando il paradigma degli Stati Uniti che non si piegavano ma cercavano di andare avanti e superare la tragedia. Al “seventh inning stretch” – la pausa tra la parte alta e bassa del settimo inning – la tradizionale “Take me out to the ballgame” fu sostituita, con una tradizione che va avanti tuttora, con “God bless America” mentre Yankees e Mets, le due squadre newyorkesi, scesero in campo con i cappelli dei FDNY e NYPD, i dipartimenti cittadini di vigili del fuoco e polizia che nei soccorsi avevano perso diversi agenti.

Senza dimenticare un po’ di sana magia da telefilm hollywoodiano. Nella prima partita giocata a New York dopo gli attentati, i Mets erano sotto 2-1 nell’ottavo e penultimo inning contro i rivali degli Atlanta Braves. Poi arrivò Mike Piazza – il catcher italo-americano star della formazione di casa – e “The Home Run”. Piazza spedì fuori un lancio del rilievo Steve Karsay per il sorpasso e la vittoria dei Mets, il primo brevissimo momento di gioia che la Grande Mela viveva dagli attentati.

Intanto gli Yankees, impegnati in trasferta tanto da tornare a giocare allo Yankee Stadium solo il 25 settembre, a due settimane dagli attacchi, da squadra più odiata del mondo diventarono quasi l’“America’s Team”, sostenuti ovunque nel paese nella loro cavalcata che li portò alle World Series. Le stesse World Series nella cui gara3 il presidente George W. Bush salì sul monte per un primo lancio celebrativo che rimane tuttora nella storia. Tutto solo sul monte, senza guardie del corpo nei paraggi e quindi alla mercé di possibili attentati, il Presidente – con addosso un non casuale giubbetto del FDNY – lanciò un tutt’altro che facile perfetto strike.

Il simbolo di un’America che non aveva paura e che stava, lentamente ma inesorabilmente, cercando di tornare alla normalità. E il baseball e lo sport più in generale, aveva avuto un ruolo fondamentale.

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