Nel 1995 Jean-Marc Bosman vinceva la sua causa contro la Uefa e rivoluzionava una volta per tutte il mondo dello sport. Addio barriere nazionali e benvenuti nello sport 2.0, quello della completa – o quasi – libertà di movimento. Eppure, 17 anni dopo quella data storica, ci sono ancora atleti trattati come veri e propri schiavi dello sport dalla propria nazione e dalla propria federazione. Tenuti incatenati, con le ali tarpate. E che quando provano a strappare quelle catene, sono ancora rincorsi con forza dal proprio stato che cerca in tutti i modi di fermarli e, nella peggiore delle ipotesi, gli chiude per sempre la porta dietro le spalle.
Stiamo parlando di Cuba e della situazione che, ancora oggi, sono costretti a subire i pallavolisti dell’isola caraibica per via delle decisioni del regime socialista. Una fucina di talenti inaudita, ma talenti che hanno sempre dovuto scegliere – non si capisce il perché – tra l’inseguire gli allori internazionali con la propria nazionale oppure giocare nei campionati europei – spesso e volentieri quello italiano – ricompensati come gli compete, ma dovendo dire addio alla nazionale e, in alcuni casi, anche alla propria famiglia. Fu così, ad esempio, per Taismary Aguero, la straordinaria universale trapiantata in Italia che ottenne l’autorizzazione per tornare a casa, durante le Olimpiadi di Pechino, solo dopo lunghe trattative e comunque quando la madre malata era ormai morta.
Dall’inizio degli anni ’90 la storia è piena di pallavolisti che scappano dal ritiro della nazionale cubana in occasione delle manifestazioni internazionali per sfuggire al giogo del regime: in principio fu “El Diablo” Joël Despaigne, poi seguiranno Aguero, Mirka Francia, Osvaldo e Iosvany Hernandez, Leonell Marsall fino ad arrivare a Osmany Juantorena. Solo alcuni nomi per ripercorrere un ventennio di fughe alla ricerca della sacrosanta fama e degli altrettanto sacrosanti stipendi europei.
Ma tutti accomunati dai due anni di stop che la FIVB – la Federazione pallavolistica internazionale – impone prima di rilasciare il transfer internazionale, in assenza del nulla osta della federazione cubana. Un vero e proprio “obolo” che l’FIVB concede a L’Avana. Quella stessa federazione e quello stesso regime che, dopo aver cercato in tutti i modi di tenerli incatenati, li ha completamente rinnegati. Porte chiuse per la nazionale a tutti i fuggiaschi, quando la maggior parte di loro ancora voleva, vuole e vorrebbe, come prima e più di prima, portare in alto il nome del proprio paese nelle competizioni internazionali. Uno spreco di talento incredibile, che verosimilmente ha fatto lasciare sul campo alle due nazionali caraibiche, nonostante un ricambio sempre di altissimo livello e una fucina di talenti che sembra inesauribile, una quantità industriale di medaglie.
Giusto domenica si è risolto l’ultimo caso, quantomeno in ordine temporale. Un “giallo” che dimostra come la follia del regime non accenni ad attenuarsi né a mettersi al passo con i tempi. Dopo un’odissea durata 25 mesi è tornato in campo l’imponente centrale classe ‘87 Robertlandy Simon Aties, meglio conosciuto semplicemente come Simon, probabilmente il più forte al mondo oggi nel suo ruolo. Ma la storia di Simon è ancora più particolare rispetto a quella di altri fuggiaschi. Lui, infatti, era il capitano di Cuba, e per questo la federazione de L’Avana ha cercato di farlo pagare più degli altri. Per farne un esempio.
Simon gioca per l’ultima volta con la sua nazionale il 10 ottobre 2010 a Roma, nella finale per il bronzo del Mondiale persa 3-0 con il Brasile. Pensa alla fuga, ma sente la responsabilità del ruolo e così torna a Cuba, anche se decide di lasciare la rappresentativa nazionale per preparare la strada allo sbarco in Europa. A dicembre 2011 saluta Cuba e viene in Italia, dove ricompare a inizio 2012. I due anni di stop si concluderebbero a ottobre 2012, tanto che il suo compagno di squadra Joandry Leal, che aveva seguito un “iter” identico al suo, proprio il 10 ottobre 2012 riceve il via libera per giocare con il suo nuovo club, i brasiliani del Sada Cruzeiro. Piacenza aspetta fiduciosa, ma il transfer per Simon non arriva. Da Cuba dicono che i 2 anni vanno contati da gennaio 2012, il periodo in cui Simon ha lasciato l’isola – peraltro in questo caso con le autorizzazioni del caso – e non dall’ultima partita con la nazionale, come fatto per tutti. Scoppia una protesta su ampia scala con la Lega Serie A che in prima persona cerca da fare di intermediario a Losanna. Poi, finalmente, il lieto fine. E domenica a Cuneo, Simon è tornato ufficialmente un giocatore di pallavolo a più di 25 mesi dall’ultima volta. Perché a 17 anni dalla sentenza che rivoluzionò il mondo dello sport, esistono ancora atleti-schiavi.