
Il cartello di un tifoso dei Kansas City Chiefs durante la vittoria contro i Carolina Panthers, partita giocata il giorno dopo la tragedia di Belcher (AP Photo/Colin E. Braley)
Sabato scorso Jovan Belcher, 25enne linebacker dei Kansas City Chiefs, ha ucciso la propria fidanzata e madre della loro figlia di tre mesi, la 22enne Kasandra Perkins, e poi si è suicidato nel parcheggio del proprio stadio, davanti agli occhi del suo allenatore Romeo Crennel, del general manager Scott Pioli e del coach dei linebacker Gary Gibbs. Una tragedia immane e le cui spiegazioni sono ancora lontane dall’essere trovate, se mai ci saranno e si riuscirà a capirle.
Peccato però che Vittorio Zucconi su Repubblica abbia pensato bene di scrivere questo “bell’”articolo. E allora è doveroso raccontare la storia di questa tragedia come doveva essere raccontata: con la verità e i fatti.
Partiamo dagli errori meno gravi ma, al tempo stesso, anche più grossolani:
- Belcher non era una difensore, perché è un ruolo che non esiste nel football. Nel football americano, infatti, ci sono squadre – e giocatori – completamente diversi per attacco e difesa. Sia l’attacco sia la difesa sono composti da tanti ruoli diversi, tutti offensivi o difensivi. Belcher, come detto, era un linebacker. Un inside linebacker di una difesa 3-4, per essere precisi. E se vogliamo andare ancora più nel particolare era quello che in gergo viene chiamato un “2-down ‘backer”, perché utilizzato solitamente nei primi due down – vista la sua attitudine a stoppare le corse – per essere tolto nelle situazioni di terzo down, quello solitamente dove nella maggior parte dei casi ci si affida al gioco aereo.
- Scott Pioli è il general manager dei Chiefs, non il manager. Il manager è un ruolo che non esiste nel football. Esiste nel baseball, dove può essere equiparato a un allenatore calcistico, ma è tutt’altro ruolo rispetto a quello di GM, ricoperto appunto da Pioli e che esiste anche nel baseball. Giusto per far capire come siano due cose totalmente diverse e che non hanno nulla a che vedere l’una con l’altra.
- Soldi che danno alla testa? Belcher aveva firmato a marzo il suo primo contratto veramente pseudo-remunerativo: un annuale da 1,927 milioni di dollari. Pseudo remunerativo, però, appunto. Non che facesse la fame, sia chiaro, ma in una lega in cui il minimo salariale è di 390.000$ per i rookie (e che sale a $700.000 per i giocatori al quarto anno di carriera come lui), due milioni e contratto di un anno non sono certo un contratto da star e non ci vanno nemmeno vicino. Tanto che Belcher viveva ancora in affitto.
- Insuccessi? Jovan Belcher, in realtà, era l’emblema di una piccola storia di successo, raggiunta attraverso il lavoro e la determinazione. Non scelto al draft dopo i quattro anni di college alla University of Maine, tutt’altro che l’elite del college football. Firmato come undrafted free-agent dai Chiefs, Belcher era riuscito a ritagliarsi contro pronostico un posto in squadra al termine del training camp come linebacker di riserva e giocatore degli special teams. Sostanzialmente il gradino più basso della scala sociale dell’NFL, ma già un successo per coloro che non vengono selezionati nei 7 rounds del draft. Poi nei primi 3 anni di carriera Belcher aveva lavorato duro e si era guadagnato i gradi sul campo, diventando uno dei due ILB titolari dei Chiefs e l’annuale da quasi 2 milioni di dollari. Una carriera, insomma, in costante ascesa.
Ciò detto, passiamo alle speculazioni e ai luoghi comuni più infamanti e sbagliati. Zucconi parla di steroidi e del caso di Chris Benoit, attribuendo le cause della tragedia a un cosiddetto “roid rage”, la furia da steroidi. Niente di più falso. È di pubblico dominio come la relazione tra Belcher e la Perkins fosse in difficoltà da mesi, tanto che i Chiefs gli avevano fornito assistenza per cercare di risolvere i loro problemi. Inoltre Joe Linta, l’agente di Belcher, è conosciuto come “specializzato” nell’occuparsi per lo più di ragazzi a modo, di simil-boy scout che provano a entrare nella NFL dalla porta di servizio. Proprio come è riuscito a fare Belcher.
Last but not least, il problema degli steroidi sicuramente non è inesistente in NFL, ma la lega sta alzando sempre di più il livello dei controlli. Alla prima positività per PEDs (performance-enhancing drugs) si viene sospesi 4 partite, senza stipendio. Al secondo test positivo, stop di un anno senza stipendio. E Belcher non era mai stato sospeso, mentre diversi suo colleghi sono caduti sotto la scure del commissioner Goodell durante la stagione. E no, Belcher non può nemmeno essersi salvato dalla squalifica perché scampato fortunosamente ai test: il nuovo contratto collettivo prevede che tutti i giocatori NFL siano controllati almeno una volta durante il training camp e/o la pre-season. Poi, durante la stagione, ogni settimana ne vengono sorteggiati 10 per squadra da testare. Ergo Belcher è stato sottoposto al controllo almeno una volta quest’anno, se non di più.
Piuttosto, se si voleva parlare seriamente e con cognizione di causa dei possibili danni collaterali del football, Zucconi avrebbe potuto speculare – e in quel caso avrebbe avuto probabilmente ragione – sui traumi alla testa, le concussions (commozioni cerebrali) come le chiamano in America. È ormai provato come violenti colpi e traumi, magari ripetuti nel corso degli anni, abbiano una correlazione con malattie degenerative mentali, demenza, perdita di memoria e depressione. Il ruolo del linebacker, quello di Jovan, è uno dei più soggetti a questo tipo di traumi. E Belcher, negli ultimi mesi, sembra fosse caduto in depressione e avesse subito una breve perdita di memoria dopo la gara del 18 novembre, tanto da saltare quella di domenica scorsa. Non è un caso che dall’inizio del 2011 altri cinque giocatori o ex giocatori NFL si siano suicidati: Dave Duerson, Ray Easterling, Kurt Crain, OJ Murdock e il sicuro Hall-of-Famer Junior Seau, che si è sparato al torace lo scorso 2 maggio. Le autopsie su Duerson e Easterling hanno trovato segni si encefalopatia cronica traumatica, una malattia degenerativa causata da colpi ripetuti alla testa.
Ma parlare seriamente e con argomentazioni di queste cose probabilmente non aveva abbastanza appeal. Meglio tirare fuori un tema abusato come quello del doping e degli steroidi, spalare fango sul mostro e su un sistema che, evidentemente, non si conosce per nulla. Per poi concludere tutto con una perla: “oggi i Chiefs non giocheranno”. Peccato che invece abbiano giocato, proprio in quell’Arrowhead nel cui parcheggio Belcher si era sparato un colpo in testa poco più di 24 ore prima. E addirittura vinto, la loro secondo vittoria stagionale su dodici partite.
Spero che questo pezzo sia fatto pervenire al sig. Zucconi o alla redazione de La Repubblica (per quel che possa servire).
Zucconi è sempre superficiale quando parla di football. Solo per luoghi comuni. Per chi possa essere interessato sui traumi cranici nel football americano, un contributo scritto tempo fa sul mio blog http://metaforismi.blogspot.it/2010/11/life-after-football.html
Il primo paragrafo però non ha senso. Il suo ruolo era difendere, ergo era un difensore. Se scrivi “linebacker” uno che non ha mai visto una partita di football cosa capisce? In un articolo su un quotidiano generalista italiano è più giusto scrivere difensore.
Il resto è condivisibile
No, difensore è semplicemente sbagliato tout court. In un quotidiano generalista italiano poteva/doveva scrivere una roba tipo “giocava in difesa, nel ruolo di linebacker, con i Kansas City Chiefs”. Semplice, chiaro, corto e corretto.
Non sono d’accordo. Difensore è un termine generico, in questo caso equivalente a “gioca in difesa”. Non ci vedo nulla di male.