
Dražen Petrovic con la divisa blu dei New Jersey Nets, la squadra Nba dove giocava al momento della morte (Photo Butler/NBAE/Getty Images)
Oggi in Croazia è lutto nazionale. Ma, caso unico al mondo, il lutto è per la morte di uno sportivo. Si ripete ogni 7 giugno dal 1993, ormai 20 anni fa. Da quando Dražen Petrovic, forse il più grande giocatore di basket europeo di tutti i tempi, è morto in un tragico incidente stradale a soli 28 anni.

La Golf di Petrovic, completamente distrutta dopo l’incidente mortale del 7 giugno 1993 (Photo drazenpetrovic.com)
Nato a Sibenico il 22 ottobre del 1964, sulla costa croata dell’adriatico, Petrovic fu portato via dal destino nel fiore degli anni. Sono le 17.20 a Denkendorf (Germania meridionale, alle porte di Stoccarda) e lui sta dormendo. Non si sveglierà più, complice una cintura di sicurezza non allacciata. Alla guida della Wolkswagen Golf rossa c’è la fidanzata Klara Szalantzy. Piove, c’è la nebbia, e l’auto finisce contro un camion. Klara, cinque anni più giovane di lui, faceva la modella e come Dražen giocava a basket. Sopravvisse al terribile impatto e si risposò più tardi con il calciatore tedesco Oliver Bierhoff.
Alto 196 centimetri, era nato nello stesso anno del lituano Sabonis, altra grande star del gioco europeo dell’epoca. Una curiosità è di tipo “familiare”: Petrovic era cugino di secondo grado di Dejan Bodiroga, cestista serbo protagonista anche in Italia qualche anno più tardi. Ma mai al livello del cugino maggiore.
Individualista, amante dell’uno contro uno, Dražen alternava il ruolo di playmaker a quello di guardia tiratrice. Anche per il suo stile di gioco era stato definito il Maradona dei Balcani (ma, va detto, all’epoca andava di moda definire molti campioni “il Maradona di…”). Come Maradona, Petrovic era amato dal suo popolo. Quasi normale per chi porta i suoi alla vittoria. Logico, insomma, trasformarsi in leggenda.
Iniziò giovanissimo Dražen, a soli 15 anni. Parte riserva nel suo Sibenik, l’anno successivo è già titolare. Fu questa sua precocità a spingere un giornalista locale a definirlo il “Mozart del basket”. Trascina una squadretta alla finale di Coppa Korac, poi a 20 anni approda al Cibona Zagabria, dove già gioca il fratello Aza. Il Cibona, che aveva perso le ultime 10 partite in Europa, vincerà con lui 2 Coppe Campioni e 1 European Cup. Più 4 titoli nazionali e qualche coppa sparsa. In campionato tiene una media spaventosa di 43,3 punti a partita.
Nel 1988 lo sbarco al Real Madrid: 4 milioni da dollari l’anno. Una cifra assurda per l’epoca (Jordan, in Nba, guadagnava la metà quell’anno). La prova che Petrovic era il più forte in tutta Europa. Perde la finale del campionato, ma vince Coppa del Re e Coppa delle Coppe. Numeri e record da urlo, come i 62 punti nella finale europea contro Caserta.
Ormai è maturo per l’Nba, e nel 1989 sbarca a Portland. Finalista già al primo anno, ma non esplode. Qualche compagno non lo ama, ritenendolo troppo egoista. Così dopo due anni, nel 1991, passa ai New Jersey Nets. 20 punti a partita il primo anno, 23 il secondo. Ormai, a 28 anni, è un campione a tutto tondo, acclamato anche dai diffidenti americani.
Con la nazionale riesce a fare ancora meglio. Prima con la Jugoslavia, con cui mette in fila un’impresa dopo l’altra. Alle Olimpiadi è bronzo a Los Angeles 1984 e argento a Seul 1988. Agli Europei e ai Mondiali inizia con 2 bronzi, poi nel 1989 e nel 1990 si prende addirittura la medaglia d’oro. Ma la perla arriva dopo la divisione balcanica, con la sua Croazia, ai Giochi di Barcellona nel 1992. Il Dream Team statunitense è di un altro pianeta e vince 117 a 85. Petrovic si accontenta dell’argento, ma sarà top scorer della finale con 24 punti. Ennesima dimostrazione della sua immensità.
Insomma nel 1993 è all’apice di una carriera frenetica: arriva l’annuncio di lasciare i Nets in estate, ma è indeciso sul futuro: tornare in Europa a dominare o prendersi finalmente l’Nba con una squadra da titolo? La risposta, purtroppo, non arriverà mai. La stella viene spenta troppo presto.
Chi si avvicinò a lui in quanto a grandezza, nella sua Croazia, fu Goran Ivanisevic. Tennista di livello mondiale, capace in campo di magie e follie allo stesso tempo. Il suo successo più famoso rimane la vittoria di Wimbledon nel 2001, dopo aver perso 3 finali nei 9 anni precedenti. Al termine di quella storica finale, in cui sconfisse Pat Rafter, Ivanisevic ringraziò chiaramente la sua famiglia e il suo allenatore. Ma i veri brividi, al pubblico londinese, vennero quando dedicò il trionfo al suo amico e collazionale Dražen Petrovic.

La statua raffigurante Petrovic, nella piazza a lui dedicata, accanto al suo Museo (Foto Croatia.org)
Il suo funerale è l’estremo saluto di una giovane nazione al suo idolo. Willis Reed e Chris Morris sono a Zagabria per rappresentare i Nets alla cerimonia funebre e si rendono conto della sua fama in patria. La Nba osserva il lutto su tutti i campi, mentre New Jersey non può fare a meno di ritirare la sua maglia numero 3.
Ancora oggi, nel moderno mondo di Facebook, Petrovic colleziona decine di migliaia di likes. Un sito internet lo celebra ancora oggi. Nel centro di Zagabria, nel mezzo della piazza a lui dedicata, sorge il suo Memorial, un vero e proprio centro del ricordo di questo campione. Non solo un museo, un vero luogo di culto per milioni di appassionati della palla a spicchi. Perché l’uomo non c’è più, ma la sua memoria resta ancora oggi fortissima. Venti anni dopo, ciao Dražen.
http://eastokeurope.com/letter-to-drazen-petrovic/