Torino 2006, dieci anni dopo

Lo stadio Olimpico in occasione della cerimonia di chiusura (foto Michele d'Ottavio)

Lo stadio Olimpico in occasione della cerimonia di chiusura (foto Michele d’Ottavio)

10 febbraio 2006. Dieci anni fa esatti tra poche ore, Torino, l’Italia ed il mondo salutavano i XX Giochi Olimpici Invernali che andavano ad iniziare. 7 anni dopo l’assegnazione di Seul, il sogno olimpico piemontese e tricolore diventava realtà e stava per travolgere per 17 giorni l’Italia, che aspettava i Cinque Cerchi da Cortina ’56 e Roma ’60. Sembra ieri, eppure sono passati già 10 anni. A due lustri di distanza, cosa resta allora di Torino 2006?

Partiamo, in ordine cronologico, dalla cerimonia di inaugurazione. Una cerimonia che entra nella storia: è lo spettacolo televisivo più visto di quell’anno ed è talmente bella che vince addirittura due Emmy Awards. Per la prima volta solo donne, ben 8, portano la bandiera olimpica, e mentre le Coree sfilano insieme per la prima volta in un’Olimpiade invernale l’onore di accendere il braciere – di ben 57 metri, il più alto mai utilizzato – non va all’icona Alberto Tomba ma a Stefania Belmondo, l’italiana più medagliata alle Olimpiadi.

Poi è tempo di gare, e Torino non delude. Non delude l’Italia, se non con qualche eccezione. Ed una è, purtroppo, storica. Capace di ammutolire il Sestriere e tutta l’Italia incollata alla tv. Giorgio Rocca, l’italiano forse più atteso di tutti dopo aver vinto i primi 5 slalom stagionali, tanto che era stato proprio lui a pronunciare il giuramento degli atleti durante la cerimonia di inaugurazione, termina la proprio gara, quella per cui era il principale favorito, poco dopo la metà della prima manche. Un errore banale, una caduta ancora di più. Il quinto posto in combinata – a 7 centesimi dal podio – e la Coppetta a fine anno non potranno mai cancellare quell’amarezza, ancora viva dieci anni dopo.

Ma se l’Italia perde il suo uomo più atteso, nei 17 giorni piemontesi trova tante altre stelle inattesa. La più splendente è quella di Enrico Fabris, che illuminò l’Oval Lingotto sede delle gare di pattinaggio di velocità. Il primo giorno di gare si prende il bronzo nei 5000, poi trascina di forza la staffetta azzurra ad un oro storico. Ma non è finita, perché a dieci giorni dalla prima medaglia si prende anche il titolo olimpico individuale, nei 1500. L’italiano con la I maiuscola di Torino, è sicuramente lui.

Ma non solo Fabris è nella storia. Lo è anche Armin Zöggeler, che nel budello di Cesana mette tutti in riga per il secondo oro olimpico e la quarta medaglia consecutiva. Il portabandiera di Sochi allungherà la striscia fino al 2014 ed ha un palmarès ricchissimo, ma Torino è sicuramente l’apice della sua carriera.

E sempre il budello di Cesana, ora purtroppo tristemente smantellato, regala all’Italia anche il bronzo di Gerda Weissensteiner nel bob a 2. Una medaglia storica perché, dopo l’oro nello slittino del 1994, fa della Weissensteiner l’unica azzurra capace di conquistare una medaglia in due discipline diverse ai Giochi Olimpici.

La storia passa anche dalla centesima medaglia azzurra alle Olimpiadi Invernali che, combinazione, finisce sul collo della più giovane medagliata azzurra di sempre: Arianna Fontana. L’allora 16enne trascina la staffetta femminile azzurra al bronzo nello short track, aprendo una striscia di successi ancora aperta, che fa di lei una delle pochissime reduci ancora in attività di Torino.

E se Rocca e lo sci alpino – 0 medaglie – furono le grandi delusioni azzurre, non fu altrettanto con il fondo, l’altra grande fucina di medaglie attesa dai tifosi italiani dopo le 6 vinte a Salt Lake City. Il bottino non fu altrettanto ricco, preludio di un lungo periodo di buio che solo ora sta iniziando a terminare grazie a Federico Pellegrino e Francesco De Fabiani, ma le vittorie storiche. Dopo il bronzo di Pietro Piller Cottrer nella 30 chilometri a inseguimento e della staffetta femminile, infatti, Giorgio Di Centa infilò una doppietta da annali: titolo prima con la staffetta 4×10 e poi assolo fantastico nella 50 chilometri conclusiva, con cui eguaglia gli ori vinti dalla sorella Manuela che gli mette la medaglia al collo durante un’emozionante cerimonia di chiusura.

Non solo Italia, però, a Torino. Il medagliere fu vinto dalla Germania, trascinata da Michael Greis che nel biathlon conquistò tre ori in cinque gare: individuale, staffetta e mass start. Il norvegese Kjetil André Aamodt conquista – a sorpresa – il SuperG, conquistando il suo quarto oro della carriera.

Sono due, invece, gli ori dell’austriaco Thomas Morgenstern, che nel trampolino grande conquista tutto: titolo individuale ed anche a squadre. Doppietta simile, per certi versi, a quella del connazionale Benjamin Raich, che vince sia il gigante sia lo slalom, ottenendo una doppietta in precedenza centrata solo da Stenmark e Tomba.

Sport, dunque, ma le Olimpiadi non sono solo questo. Per Torino 2006 l’Italia ha speso in tutto circa 3,5 miliardi di euro: due per gli impianti e le infrastrutture ed il resto per costi organizzativi. Purtroppo alcune strutture, specialmente quelli costruite fuori Torino, con costi di gestione alti e per sport con un numero di praticanti ridotto in Italia sono finite in malora, come ad esempio il già citato stupendo budello di Cesana ed il centro olimpico di biathlon. Altri, come il Palavela o il Palasport Olimpico, godono ancora di buona salute. Che alcune strutture andassero gestite meglio, con progetti e piani a lungo termine, non c’è dubbio. Ma è anche vero che Torino è rifiorita come città turistica e culturale, cambiando completamente volto e percezione e diventando, da città prettamente industriale, la quinta meta turistica italiana. Ed ancora oggi beneficia di molte delle infrastrutture completate dieci anni fa: il primo tratto della metropolitana, inaugurata il 4 febbraio 2006, era attesa da almeno 70 anni. E molto attesa era anche la pedonalizzazione di piazza San Carlo. Per finire con i lavori di ammodernamento e ampliamento di undici strade statali e provinciali che collegano Torino con le altre città olimpiche, nonché il completamento della diramazione dell’A55 verso Pinerolo.

Per tutti quelli che si chiedono, dunque, “ma ne valeva (e ne vale) la pena?” la risposta dal punto di vista sportivo è ben presto detta. Ma anche da quello economico, non si può calcolare – solo – come un bilancio l’impatto di una manifestazione del genere su una città ed una nazione. Va gestita bene, in alcuni casi meglio di quanto fu fatto dieci anni fa, ma dire no a priori è una follia. Ecco perché, celebrando i ricordi di Torino 2006, speriamo che presto l’Italia possa accogliere nuovamente i cinque cerchi. Forza Roma 2024!

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