«Sono in vantaggio 2-0 alla fine del primo tempo di un match che ancora non è finito, ma sono convinto di riuscire a vincere». Così parlava Johan Cruyff a metà febbraio della sua battaglia contro il cancro ai polmoni. Ma dove in carriera non sono riusciti gli avversari, stavolta è riuscito il male, che evidentemente nel secondo tempo ha rimontato stroncando il “Profeta del gol”. Johan Cruyff è infatti morto oggi a Barcellona a soli 68 anni, come comunicato da un post sulla sua pagina Facebook ufficiale.
Con Cruyff se ne va uno dei più grandi giocatori della storia del calcio, il “Pelè bianco” come lo aveva soprannominato Gianni Brera. Simbolo e trascinatore del “calcio totale” olandese che negli anni ’70 sfiorò solamente la Coppa del Mondo ma lasciò un segno indelebile nella storia del gioco. Dopo di lui, il calcio non è più stato lo stesso. Non poteva.
Ed emblematico che anche l’epilogo sia stato all’insegna del dribbling e della velocità. Dopo aver lottato per anni con le bizze del cuore, sottoposto anche a due bypass nel 1991, a stenderlo è stato invece un tumore ai polmoni scoperto solo lo scorso ottobre. Un dribbling imprevedibile ed inafferrabile, come tanti di quelli fatti da Johan su un campo di calcio.
Forse non il più forte giocatore di sempre a livello puramente tecnico, ma sicuramente il più rivoluzionario. A partire dal numero di maglia, quel 14 che spezzava con il passato ed apriva uno squarcio sul futuro. Un futuro che sarebbe arrivato solo 20-30 anni dopo, ma che Johan già vedeva con chiarezza. Era così anche in campo. Nell’Ajax e nell’Olanda lui era l’alpha e l’omega. Lui creava il gioco, lo alimentava e lo finalizzava.
Il tiki-taka odierno non è altro che l’evoluzione del calcio totale ideato da Rinus Michels per i lancieri e di cui Cruyff fu pietra portante nonché interprete più capace. Vedere giocare il Barcellona oggi non è altro che vedere realizzata l’idea di calcio di Cruyff, e non è un caso che dopo l’epopea nei Lancieri il Profeta si sia trasferito proprio in Catalogna, dove poi ha continuato a plasmare generazioni di tecnici e calciatori anche dalla panchina e da dietro una scrivania. Anche in questo caso sempre con quel passaggio da Amsterdam alle Rablas che ha caratterizzato tutta la sua vita.
Messi non calcia direttamente in porta un rigore e fa assist per Suarez? E dove sarebbe la novità? Cruyff lo aveva fatto 34 anni fa: il 5 dicembre 1982 nella gara tra i Lancieri e l’Helmond Sport. Un esempio forse banale, ma rappresentativo di quanto l’oranje fosse avanti a livello concettuale e di quanto la sua rivoluzione calcistica si faccia sentire ancora oggi.
Ciò non vuol dire che Cruyff sia stato solo un rivoluzionario incapace di vincere. Certo, l’Arancia Meccanica olandese è rimasta a mani vuote, sconfitta in finale del Mondiale 1974 dalla solidità teutonica di Gerd Müller e nel 1976 dilaniata agli Europei (terzo posto, ndr) da liti interne, ma il palmarès di Johan è ugualmente infinito.
Tre palloni d’oro – come solo Platini e Van Basten nella vecchia formulazione del premio – 402 gol in 716 partite ufficiali, 9 campionati olandesi, 6 Coppe d’Olanda, 1 Liga, 1 Coppa del Re, 3 Coppe Campioni, 1 Intercontinentale e 1 Supercoppa Uefa. Questo da giocatore. E poi da allenatore 4 Liga, 3 Supercoppe spagnole, 1 Coppa del Re, 2 Coppe d’Olanda, 1 Coppa Campioni, 2 Coppe delle Coppe e 1 Supercoppa Uefa.
È uno degli appena sei allenatori capaci di vincere la Coppa dei Campioni da tecnico dopo averla sollevata anche da giocatore. Gli altri cinque sono Miguel Muñoz, Giovanni Trapattoni, Josep Guardiola, Frank Rijkaard e Carlo Ancelotti.
Facile dunque capire perché l’IFFHS, l’ International Federation of Football History & Statistics, lo abbia messo al secondo posto nella classifica dei migliori calciatori del 20° secolo, dietro solo a Pelè.
Grazie di tutto Johan, ci mancherai, ma almeno la tua eredità continuerà ad influenzare il gioco del calcio ancora per tanti anni.
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