
L’esultanza di Baggio dopo la doppietta alla Nigeria agli ottavi di finale del Mondiale di Usa 1994 (photo by forzaitalianfootball.com)
Sembra ieri, che gli occhi si illuminavano a guardarlo giocare. Ha fatto emozionare tutti, Roberto Baggio, nato il 18 febbraio del 1967 e che quindi oggi compie 50 anni. Un giocatore che ha fatto la storia del calcio italiano con la sua classe eccezionale. E in modo eccezionale lo celebriamo, prendendo spunto dal gioco enigmistico dell’acrostico: ogni lettera del suo nome sarà l’iniziale di un termine per raccontare Roby Baggio.
Ribelle – Una delle sue caratteristiche più spiccate. Ribelle verso gli allenatori, verso la tattica, ma sempre con una classe che oggi manca ai calciatori definiti ribelli e invece, spesso, solo maleducati. Si ribellava agli schemi e alle regole di un calcio già troppo moderno per lui.
Oro – Come il Pallone d’Oro che ha vinto nel 1993, uno dei 4 italiani a esserci riuscito (oltre a lui solo Cannavaro, Rossi e Rivera, non contiamo Sivori perché, di fatto, era argentino). La sua qualità fu riconosciuta nonostante, a differenza di molti altri vincitori, in quel 1993 non avesse vinto nessun grande trofeo (niente Serie A, Coppa dei Campioni, Mondiale o Europeo), ma “solo” la Coppa Uefa. Certo, le 30 reti in 43 presenze complessive stagionali (da seconda punta) parlano da sole.
Bello – Era bello da vedere, con quelle movenze eleganti, quasi a non voler far male al prato coi suoi scarpini neri. E per molte donne era bello nel senso più diretto della parola, grazie ai suoi occhi luccicanti e a quei capelli che, con un semplice codino, sono divenuti leggenda e soprannome in un sol colpo.
Eliminatoria – Come la fase dei Mondiali di Usa ’94 che Baggio, di fatto, ci ha permesso di superare praticamente da solo. Dopo un girone iniziale in pessime condizioni fisiche, in cui non riesce a segnare e viene contestato da molti, Roby inizia a fare sul serio. E così nella fase eliminatoria, tra ottavi contro la Nigeria, quarti contro la Spagna e semifinale contro la Bulgaria, Baggio segna cinque reti e ci trascina alla triste finale di Pasadena.
Religioso – Tra i primi in un mondo patinato e superficiale come quello del pallone, Baggio ha trovato una via di fuga nel buddismo. Solo grazie a preghiera e meditazione, ha spiegato più volte, ha superato le difficoltà di una carriera fatta di ko fisici e morali.
Tenace – Non voleva mollare. Fino ai 37 anni è rimasto in campo, con i legamenti a chiedere pietà dopo i terribili infortuni patiti (già a 18 anni si ruppe il ginocchio, maledizione ripetutasi altre volte in carriera a entrambe le gambe). Ci ha sempre creduto. Nel suo fisico e nella possibilità di giocare, nonostante molti allenatori si siano messi tra lui e il campo, tanto da fargli esclamare “A questo punto se trovassi qualcuno che vuole farmi giocare dall’inizio mi preoccuperei“.
Omerico – Forse solo Baggio, negli ultimi trent’anni di calcio italiano, potrebbe essere l’eroe perfetto per una tragedia di Omero. Dei personaggi del grande poeta dell’antica Grecia ha tutto: bello e valoroso, compie gesta grandiose alla ricerca dell’approvazione della comunità. Baggio si distingue in battaglia, al punto da guadagnarsi l’attenzione di chi scrive. Conduce il proprio esercito come Ettore, è orgoglioso come Achille, e gira il mondo (o almeno la Serie A) come Ulisse. In una parole, epico.
Battuto – Purtroppo è così, la sua immagine più famosa è quella della disperazione dopo l’errore dal dischetto durante la serie dei calci di rigore al termine della finale mondiale di Usa ’94. A poco serve ricordare che oltre a lui fallirono anche Baresi e Massaro. Baggio e la sconfitta sono andati spesso, troppo spesso, di pari passo. Come quando, quattro anni dopo, ai quarti di finale di Francia ’98, il suo destro al volo uscì al lato della porta francese e non ci permise di passare il turno. Insomma, ha perso tanto Baggio, e vinto poco: nulla in Nazionale, coi club solo due Scudetti, una Coppa Italia e una Coppa Uefa.
Atemporale – Baggio ha unito diverse generazioni di tifosi e due diverse epoche del calcio, quella pre Champions e quella delle pay tv. Senza tempo, perché si ha l’impressione che uno come lui avrebbe fatto la differenza nell’età d’oro degli anni ’60 e la farebbe anche oggi, tra palestrati e selfisti, con la tranquillità di chi ha i piedi migliori e lo sa.
Goleador – Baggio ha segnato tantissimo, in slalom tra gli avversari o con pennellate su calcio di punizione. Ben 291 gol in 643 presenze con i club, una cifra enorme se consideriamo i tanti infortuni e soprattutto il fatto che giocava da seconda punta. E poi le 27 reti in 56 apparizioni in maglia azzurra (quarto di sempre).
Globale – Prima di Baggio l’Italia calcistica degli anni ’80, all’estero, era nota per la Juventus di Platini, il Napoli di Maradona e il Milan degli olandesi. Tutti forti, ci mancherebbe, ma tutti stranieri. Baggio è stato il primo italiano a diventare un’icona del calcio in tutto il globo. In Giappone, per capirci, è stato lo sportivo più famoso per molti anni, al punto da finire persino nei cartoni animati.
Ideale – Come compagno d’attacco. Tutti, o quasi, gli attaccanti che hanno fatto coppia con Baggio ne hanno beneficiato in assist. 14 i gol di Borgonovo, in attacco con lui nella Fiorentina 1988-89. Ma bene insieme a lui fecero anche Weah nel Milan, Kenneth Anderson nel Bologna, Ronaldo all’Inter, Hubner e Caracciolo al Brescia. Per non parlare di Schillaci, Massaro e Vieri in Nazionale.
Oltre – Sì, perché Baggio in carriera è riuscito ad andare oltre qualsiasi cosa. Oltre i limiti degli anni che passavano senza fermare le sue magie, oltre le critiche e oltre le tifoserie, essendo riuscito a unire tutti gli appassionati, nonostante abbia giocato per le tre grandi storiche d’Italia (Juve, Inter e Milan). E oltre i confini del nostro Paese. E il suo essere oltre rende, forse, più di ogni altra cosa la sua grandezza.