Il più veloce, fino alla fine: addio a Mennea

Pietro Mennea a Mosca celebra l'oro olimpico nei 200 metri (Photo Bob Thomas/Getty Images)

Pietro Mennea a Mosca celebra l’oro olimpico nei 200 metri (Photo Bob Thomas/Getty Images)

Pietro Mennea aveva un pregio: arrivava primo. Bravo e veloce, non solo in pista. Stavolta, però, è stato troppo veloce. E troppo veloce è arrivata la sua morte, oggi a Roma. Un tumore, il cosiddetto “male incurabile”, si è portato via velocemente il simbolo dell’atletica leggera italiana del ‘900. Un campione, nello sport e nella vita.

Sì, anche nella vita, dove si distinse negli anni successivi al ritiro, datato 1988. Nei suoi 60 anni di età (ne avrebbe compiuti 61 il 28 giugno prossimo) è riuscito a fare di tutto: prendere 4 lauree, diventare avvocato, scrivere una ventina di libri, insegnare educazione fisica, fare il parlamentare europeo, fare il commercialista e fondare una Onlus filantropica che porta il suo nome. Fu primo anche in un concorso per una cattedra universitaria, posizione poi dichiarata incompatibile a quella di politico.

Ma fu lo sport a renderlo immortale. I numeri di Pietro Mennea sono grandissimi. Tutti pensano a quelle cifre divenute storiche: 19’’72. Diciannove secondi e settantadue centesimi. Il record del mondo nei 200 metri piani. Facciamo però chiarezza: Mennea vinse l’oro olimpico nel 1980, ma il record lo stabilì già un anno prima, alle Universiadi di Città del Messico. Però il suo palmares è stellare, non può essere “ridotto” al pur storico tempo del 1979 e al trionfo di Mosca. Mennea ha dominato innanzitutto nel nostro paese. Fu 3 volte campione italiano nei 100 metri (1974, 1978, 1980) e una volta nella staffetta 4×100 (1974). Ma, soprattutto, fu dominatore incontrastato nei “suoi” 200: 11 titoli italiani in 14 anni, un’impresa da extraterrestre. Dal 1971 al 1984 inclusi Mennea non vinse solo nel 1975, nel 1981 e nel 1982.

E poi le sue magie in giro per il mondo, in particolare agli Europei, che stravinse a Roma nel 1974 nei 200 e rivinse quattro anni più tardi a Praga, stavolta sia nei 200 sia nei più difficili 100. La distanza minore era infatti la più dura per Mennea, che come poi accadde a Carl Lewis tendeva a soffrire la partenza, per poi invece recuperare a metà gara. Ma la metà gara dei 200 metri, purtroppo, nei 100 non c’è. Agli Europei, in totale, vinse 3 ori, 2 argenti e 1 bronzo. Atleta europeo per definizione, dunque. Non solo perché non riuscì mai, invece, a conquistare i Mondiali (solo 1 argento e 1 bronzo), ma anche perché il suo record mondiale del 1979 è stato battuto, ma resta a oggi il record europeo.

I suoi detrattori accusano Mennea di aver ottenuto il record solo grazie al fatto di aver corso a Città del Messico, dove l’aria rarefatta rende  gli atleti più “leggeri”. Ma lo stesso aveva fatto il suo predecessore, Tommy Smith, 11 anni prima. E se le condizioni ambientali lo avrebbero favorito, stesso discorso si può fare per chi quel giorno resto alle sue spalle. C’è poi chi critica il suo oro olimpico perché ottenuto in un’edizione resa meno brillante dal boicottaggio made in Guerra Fredda. Erano assenti gli Usa di LaMonte King, per esempio, che quell’anno deteneva il season best con 20’’08, mentre Mennea trionfò con 20’’19. L’impresa però resta storica, perché altrimenti i giochi del 1980 non dovrebbero esser considerati validi per nessuna disciplina. La stessa storia si potrebbe fare per Los Angeles 1984, dove a mancare volontariamente furono Urss & friends. E poi la gara di Mosca, forse, l’avrebbe vinta ugualmente Pietro: fu una corsa epica, emozionante, resa immortale dalla telecronaca di Paolo Rosi, che sembrò spingere l’atleta azzurro con il suo “recupera, recupera…” fino al traguardo.

Poi arrivò Michael Johnson, nel 1996. Ben 17 anni furono necessari al mondo per superare la freccia del Sud, come era stato ribattezzato questo ragazzo di Barletta. Adesso a dominare l’atletica è Usain Bolt, e anche il record dei 200 è nelle sue mani con uno stratosferico 19’’19. Un tempo incredibile, ma mai quanto quello di Mennea 34 anni or sono. Un tempo che infatti resiste ancora oggi nella top ten delle migliori prestazioni di sempre sulla distanza del mezzo giro di pista.

Per capire ancor meglio la sua grandezza, basta pensare alla gara di Londra 2012. La vittoria è andata a Bolt con 19’’32, seguito dall’altro giamaicano Blake con 19’’44. Terzo è arrivato l’ennesimo corridore della Giamaica, Warren Weir, sì, ma con il tempo assai più “lento” di 19’’84. Insomma, virtualmente il nostro Pietro sarebbe salito sul podio a distanza di ben 33 anni dall’impresa messicana. Ah, e chiaramente fino ai giochi londinesi nel 2012 il record stagionale, appartenente a Blake, era di 19’’80. Più lento di Mennea quindi, nonostante i decenni di distanza.

Perché, in fondo, Mennea resta il più veloce, purtroppo anche nella morte. Riguardando al podio di Mosca, aumenta la tristezza. Dietro a Mennea arrivò Allan Wells, coetaneo di Pietro che tutt’oggi allena corridori nella sua Scozia. Terzo fu Don Quarrie, giamaicano giunto in Russia da campione in carica. Ha un anno in più, è del 1951, e vive felice ai Caraibi. Anche in cielo arriveranno dopo, perché Mennea sarà il primo per sempre.

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