Florida Gulf Coast rende marzo ancora più pazzo del solito

Sherwood Brown viene festeggiato dai compagni al termine della storica vittoria su San Diego State che ha mandato FGCU - la prima #15 di sempre a riuscirci - alle Sweet Sixteen (AP Photo/Michael Perez)

Sherwood Brown viene festeggiato dai compagni al termine della storica vittoria su San Diego State che ha mandato FGCU – la prima #15 di sempre a riuscirci – alle Sweet Sixteen (AP Photo/Michael Perez)

È marzo e negli Stati Uniti – e non solo – è tempo di March Madness, la follia marzolina. Ma no, non c’è nessun riferimento alla variabilità delle condizioni metereologiche come nel proverbio popolare che recita “marzo pazzerello, guardi il sole e prendi l’ombrello”. Il riferimento, unico e imperdibile, è al Torneo NCAA di basket, il torneo a singola eliminazione che mette di fronte le migliori 68 squadre del college basket (al maschile, soprattutto, ma anche al femminile) per eleggere il campione nazionale.

La formula è a dir poco unica. Delle 68 partecipanti, 31 sono automaticamente qualificate grazie alla vittoria del torneo della propria conference, una specie di “lega” costituita in base a qualità e importanza degli atenei oltre che alla geografia. Le altre 37 vengono invitate – tramite quelli che in gergo tecnico sono chiamati “at large berths” – dal Selection Committee della NCAA, un comitato a rotazione che raccoglie athletic director di università e commissioner di conference e sceglie – o quantomeno dovrebbe – le 37 squadre più meritevoli per completare il tabellone – bracket in gergo – usando dati come il numero di vittorie e sconfitte, le vittorie di maggiore peso fatte registrare in stagione e alcuni dati statistici avanzati che tengono conto anche della qualità delle avversarie affrontate.

Una volta selezionato il campo delle 68 squadre, poi, il Selection Committee è incaricato anche di predisporre il tabellone. Otto squadre compongono quello che viene chiamato il “First Four”, quattro gare – introdotte nel 2011 in sostituzione della singola gara di play-in che si giocava dal 2001 mentre l’allargamento del campo a 64 squadre risale al 1985 – da cui escono le quattro squadre che completano il tabellone vero e proprio da 64 squadre. Le magnifiche 64, poi, vengono suddivise in quattro “regioni”, con ognuna che designerà una partecipante per la Final Four. In ogni regioni le squadre vengono accoppiate secondo un seed, una testa di serie. La #1 sfida nei 64esimi di finale la #16, la #2 la #15 e così via. Non c’è bisogno di dire che i seed più bassi sono quelli favoriti mentre quelli in doppia cifra spesso fanno solo da sparring partner se non da vere e proprie vittime sacrificali.

Stanotte, però, la storia. Dal 1985, data appunto dell’allargamento alla formula attuale con 64 squadre (la prima edizione del Torneo risale invece addirittura al 1939) nessun seed n.16 ha mai battuto una n.1. E tra le sei #15 capaci di eliminare nei 64esimi una #2, poi nessuna aveva raggiunto le semifinali regionali (gli ottavi di finale del tabellone generale), meglio conosciute Sweet Sixteen. Sei sconfitte nettissime, con un margine medio di 15 punti e solo Coppin State nel 1997 che era stata capace di rimanere al di sotto della doppia cifra di distacco (sconfitta 82-81 da Texas). L’uso di verbi al passato non è casuale. Al settimo tentativo, infatti, Florida Gulf Coast ha riscritto il libro dei record ed è diventata la prima #15 di sempre ad arrivare alle Sweet Sixteen.

Due vittorie che non lasciano adito a dubbi per il margine e il modo in cui sono arrivate. Due secondi tempi che spezzano gambe e speranze degli avversari: Georgetown (#2) deve alzare bandiera bianca 78-68, San Diego State (#2) 81-71. Dunk City, così come sono stati ribattezzati gli Eagles di coach Enfield per via delle loro spettacolari schiacciate e lo stile di gioco atletico e votato alla transizione offensiva, fa la storia. A maggior ragione se si pensa che FGCU fa parte della Division I, il livello più alto dello sport collegiale, a pieno titolo solo dall’agosto 2011. E allora loro prima apparizione al Grande Ballo – un altro soprannome del Torneo NCAA – hanno centrato un’impresa mai riuscita prima.

Sono la “cinderella” – letteralmente cenerentola, la squadra che sovverte ogni pronostico e “balla” più a lungo del previsto – del 2013, un team ormai amato, tifato e adottato da tutti gli States. E venerdì prossimo Florida Gulf Coast proverà ad allungare il proprio miracolo in una partita dal sapore ancora più speciale di una “normale” gara di Sweet Sixteen. Sarà infatti derby con Florida, l’università per eccellenza dello stato che ospita anche la piccola – ma non più sconosciuta – FGCU. Davide contro Golia, Caino contro Abele.

Ma in questa March Madness più folle del solito guai a scommettere contro le cinderella di turno. Alle Sweet Sixteen sono approdate anche La Salle (#13) e Oregon (#12), la prima volta nella storia che a questo punto del Torneo arrivano contemporaneamente tre squadre con seed pari o inferiore al numero 12 e addirittura due al numero 13. E con LaSalle che è partita dalle First Four, queste sono anche le prime tre vittorie consecutive al Torneo NCAA per gli Explorers addirittura dal 1955. Questo marzo, insomma, è più pazzo che mai. E da qui all’8 aprile, quando qualcuno al Georgia Dome di Atlanta taglierà la retina per festeggiare il titolo di campione nazionale, tutto può ancora succedere ed è tassativamente vietato dare chiunque per già sconfitto. Nella March Madness, qualche cenerentola balla sempre oltre la mezzanotte.

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