Althea Gibson e Arthur Ashe: quando il nero andò di moda nel tempio dell’all-white

Arthur Ashe festeggia dopo aver sconfitto Jimmy Connors nella finale di Wimbledon nel 1975

Arthur Ashe festeggia dopo aver sconfitto Jimmy Connors nella finale di Wimbledon nel 1975

A Wimbledon, si sa, il rigidissimo dress code impone un abbigliamento totalmente bianco, tanto che Roger Federer quest’anno è incorso nelle ire degli organizzatori per la sua suola delle scarpe (!) di color arancione. Eppure c’è stata una volta – anzi due – in cui il nero l’ha fatta da padrona sui campi dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club. Il nero era quello della pelle di Althea Gibson e Arthur Ashe, rispettivamente prima donna e primo uomo di colore capaci di vincere sull’erba inglese.

L’anniversario cade, come ogni anno, a un giorno di distanza. Il 5 luglio 1975, 38 anni fa, Ashe conquistò Wimbledon, 18 anni dopo il 6 luglio 1957 che aveva visto incoronata la Gibson. Ma Ashe e Gibson non sono semplicemente i primi due giocatori di colore a vincere a Wimbledon, sono i due pionieri che hanno abbattuto la barriera razziale nel tennis.

Althea Gibson con la finalista sconfitta, Darlene Hard, dopo aver vinto il titolo di Wimbledon nel 1957 (foto NBCSports)

Althea Gibson con la finalista sconfitta, Darlene Hard, dopo aver vinto il titolo di Wimbledon nel 1957 (foto NBCSports)

Althea Gibson nacque il 25 agosto 1927 a Silver, contea di Clarendon, in South Carolina. Divenne tennista e golfista professionista e fu una delle prima donne ad abbattere la barriera razziale in qualsiasi sport. Nel 1956 vince il suo primo titolo dello Slam (a fine carriera saranno 11, suddivisi tra singolare (5) e doppio (6), nda) , il Roland Garros, bissato pochi mesi dopo dal titolo del doppio a Wimbledon, la prima vittoria di qualsiasi tipo di un atleta di colore sui campi londinesi. L’anno dopo vinse il singolare sia a Wimbledon sia agli US Nationals – precursori degli attuali US Open – titoli bissati l’anno successivo insieme a una storica tripletta a Wimbledon in doppio. Diventò una delle più grandi tenniste di sempre, conquistando l’ingresso in gran numero di hall of fame tra cui l’International Tennis Hall of Fame, nel 1971, e l’International Women’s Sports Hall of Fame, di cui nel 1980 diventò una delle prime sei ad entrarvi. Per tutto quanto fatto nel corso della sua carriera Althea Gibson è spesso paragonato a Jackie Robinson, il primo giocatore di colore capace di abbattere il muro razziale e giocare in MLB, la Major League Baseball. Dopo di lei bisognerà attendere ben 41 anni prima di trovare una nuova atleta di colore capace di vincere un torneo dello Slam: Serena Williams nel 1999 allo US Open, con la sorella Venus che invece si prese il titolo di Wimbledon in back-to-back nel 2000 e 2001, come aveva fatto la Gibson 43 anni prima.

Arthur Ashe impegnato nel contro primo turno di Wimbeldon, il 14 giugno 1975, contro Bob Hewitt  (foto David Ashdown/Keystone/Getty Images)

Arthur Ashe impegnato nel contro primo turno di Wimbeldon, il 14 giugno 1975, contro Bob Hewitt (foto David Ashdown/Keystone/Getty Images)

Da Althea Gibson a Jackie Robinson, da Jackie Robinson ad Arthur Ashe un sottile filo rosso li lega tutti insieme. Arthur Ashe, come Jackie Robinson, ha infatti frequentato UCLA – la University of California, Los Angeles – in cui aveva iniziato a (stra)vincere e abbattere il muro razziale. Nato il 10 luglio 1943 a Richmond, in Virginia, nel 1965 vinse il titolo NCAA (universitario) sia in singolare sia a squadre dopo essere già diventato, nel 1963, il primo afro-americano ad essere selezionato per la squadra di Coppa Davis degli Stati Uniti. Nel 1968 vinse il primo US Open dell’era open, la Coppa Davis, diventò numero 1 al mondo e fu una figura chiave nella creazione dell’ATP, l’associazione dei tennisti professionisti che ancora oggi gestisce il tennis pro. Nel 1970 conquistò l’Australian Open poi, dopo qualche anno sottotono, il 5 luglio 1975 arrivò la vittoria più attesa e ambita, nonché meno aspettata, quando sconfisse contro pronostico Jimmy Connors nella finale di Wimbledon per 6-1, 6-1, 5-7, 6-4. Ad oggi rimane ancora l’unico tennista di colore capace di vincere Wimbledon, lo US Open e l’Australian Open, oltre uno dei due soli atleti di colore capaci di vincere uno Slam (dopo di lui solo il francese Yannick Noah al Roland Garros nel 1983).

Si ritirò nel 1980, dopo aver subito nel 1979 un infarto. Fu l’inizio della sua fine, ma questo non lo fermò dal tentare di abbattere altri muri. Nel 1983, infatti, Ashe subì un nuovo infarto e fu costretto a sottoporsi a un secondo intervento chirurgico al cuore per correggere il bypass impiantatogli quattro anni prima. Cinque anni dopo, nel 1988, Ashe scoprì di essere infetto dal virus HIV, l’AIDS, contratto a causa di una trasfusione di sangue in occasione del suo secondo intervento al cuore. L’ormai ex tennista tenne nascosta la notizia fino al 1992, ma quando la rivelò si impegnò fattivamente per la diffusione della comprensione e della conoscenza dell’AIDS e fondò, due mesi prima della morte avvenuta il 6 febbraio 1993 (10 anni prima di Althea Gibson e 20 anni fa, nda), l’Arthur Ashe Institute for Urban Health, tanto da essere eletto come sportivo dell’anno da Sports Illustrated.

Perché Arthur Ashe e Althea Gibson furono due giganti capace di far andare di moda il nero anche nel tempio dell’all-white.

2 risposte a “Althea Gibson e Arthur Ashe: quando il nero andò di moda nel tempio dell’all-white

  1. Pingback: Andy Murray, UK is back | Pensieri di Sport·

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    di moda nel tempio dellall-white | Pensieri di Sport.

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